lunedì 3 novembre 2008

Dai, dai, dai che la vinciamo...

Ci siamo, la spasmodica attesa giunge all'agognato termine e la tensione cresce a dismisura. Ormai non se ne può più di cifre che ballano un mambo indiavolato, di interviste ad esperti che tirano indovinare, di frasi ad effetto e pubblicità ingannevoli per spingere anche i più ritrosi a votare per un candidato o l'altro. Eppure, pensare che tutto stia per finire e che il risultato sia a poche ore, inderogabile e definitivo come una sentenza divina, mette molta paura. Paura che l'America, a dispetto dei sondaggi, non voglia cambiare, paura che l'odio, le divisioni e l'ignoranza siano ancora prevalenti, paura che non ci sarà nulla di nuovo sotto il sole.

Ad ogni modo, la sfida è conclusa, quel che i due candidati potevano fare è stato fatto, o ha assunto le sembianze della recriminazione. La campagna democratica è stata dirompente, organizzata e precisa, forse un poco blanda all'inizio e non molto propensa al contrattacco, ma in definitiva si poteva fare poco di più. I Repubblicani hanno sbagliato soprattutto a puntare tutto sulla Palin, ma con una potenza di fuoco pubblicitaria debole non avevano molte altre armi. I grossi scossoni non hanno mandato fuori rotta la campagna, confermando le attese e le previsioni della vigilia; nei sondaggi Obama era ed è in vantaggio. Ora tocca ai singoli, alla testa di ogni elettore deciso a votare, dalle metropoli cosmopolite alle pianure coltivate a mais del cuore dell'America, dai paesini degli Appalachi alle coste californiane, dal caldo delle paludi della Florida alle nevi del Montana.

Questa importantissima, ma non per questo meno pazza, lotteria sta per decretare il vincitore. A noi tocca solo guardare. E sperare...

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